AAAA che cute!  Essay on Cutification

July 2024

Words by Alice Novello x testemobili 2024 

Cute! Ma che cute! AAAA che cute! 

Negli ultimi anni la parola cute è entrata sempre più nel vocabolario colloquiale e digitale:viene usata per descrivere qualcosa, ma anche come affermazione, commento, giudizio “di pancia”. Cute è un effetto corporale, una risposta data in modo spontaneo dopo aver visto e essere entrat3 in contatto con piccoli gattini, cuccioli, tondi peluches, minions, occhioni luccicanti del gatto di Shrek, ma anche oggetti come portachiavi, orsetti gommosi, tatuaggi, meme, o persone, atteggiamenti, TikTok, vestiti, cuffie con orecchiette rosa, tastiere per il computer, lampade a forma di coniglietti o forme morbide, tondeggianti che sorridono, sveglie, portamatite, scarpe.

La differenza tra kawaii e cute è che che cute fa parte di kawaii, ma mentre cute si riconosce principalmente in ciò che è carino, infantile, ed ha un’accezione positiva, kawaii può anche riferirsi a qualcosa di brutto, grottesco, se mantiene le caratteristiche tonde, infantili, morbide (Lukacs 2020).

Sianne Ngai nella raccolta “The Cute” (2022) esplora il significato culturale di cute e le sue ramificazioni artistiche come una categoria estetica. Una categoria estetica è un insieme definito da delle caratteristiche riconducibili a delle forme, quindi ad una percezione sociale di cosa questa categoria rappresenti, connessa ad un giudizio (Ngai 2022). Quindi, “una categoria estetica connette un modo strutturato di vedere, ad un modo strutturato di parlare e commentare” (Ngai 2022: 23).

Più semplicemente una categoria estetica rappresenta qualcosa che di riconoscibile -una struttura per vedere il mondo- collegato al giudizio dato quella cosa. Per giudizio si intende sia l’accezione (positiva/negativa/neutra etc) posseduta, che l’affetto emotivo o corporale che l’esperienza di venire a contatto con tale categoria induce. La categoria estetica cute quindi è composta dall’aspetto di oggetti/soggetti che “appaiono come piacevolmente impotenti - morbidi, malleabili, piccoli” (Ngai 2022: 24), sommata alla risposta affettiva a ciò che vediamo. Per risposta affettiva intendo l’effetto emotivo, corporale, per esempio  vedere un cucciolo di gatto può far scaturire la risposta affettiva di volerlo abbracciare e commentare: CUUUUUUUUUTE”. Questo commento può essere sia un commento dato all’oggetto, che una definizione, che un giudizio o una valutazione. Nonostante cute abbia in molti casi un accezione positiva, può essere anche negativa o ambivalente, per esempio “giudicare un’opera d’arte come cute di solito significa non prenderla seriamente” (Morreal 1991, 68)

Nel paragrafo precedente si è introdotto il concetto di cute come una risposta affettiva, corporale ad un'esperienza  (con) cute. Una specificità di questa categoria estetica è che spesso queste risposte spontanee tendono ad imitare l’idea di cute (Ngai 2022). ‘Cuuuuteee', ‘che cuteee’, ‘che carinoooo’ queste frasi sono spesso pronunciate in modo cute, infantilizzando la voce, con toni più giocosi, acuti, cantati. Questo processo riduce la distanza tra chi osserva e chi o cosa è osservato, tra soggetto e oggetto, tra chi riconosce la categoria e la categoria stessa (Ngai 2022). Si crea quindi un paradosso cute dove ciò che è osservato, denominato, giudicato, l’oggetto trasforma il linguaggio dell’agente. Secondo Ngai (2022) l’oggetto cute agisce operando una sorta di “vendetta” cutificando (rendendo) cute il linguaggio del3 cutificator3: “ciò che è apparentemente impotente e viene cutificato, ha una tremenda forza affettiva e culturale” (Ngai 2022: 26).

C’è una sorta di violenza intrinseca nel rapporto dell’oggetto e di chi lo definisce cute, perchè essendo cute riconducibile a caratteristiche infantilizzanti, deboli, una parte dell’attrattiva ciò che è cute è questa debolezza. Si creano quindi dei rapporti dove una parte dei motivi per cui una persona trova qualcosa cute è il fatto che sia più debole. Cute quindi diventa attrattivo perchè dominabile. L’oggetto definito cute è spesso storpio, zoppicante, dondolante, e suscita un desiderio di coccolare, ma anche di dominare (Ngai 2022). Un cucciolo di giaguaro che inciampa facendo i primi passi è cute, ma un giaguaro adulto, agile, veloce e pericoloso non lo è più, quando la relazione di potere si riversa non è più considerabile cute.

Cute come categoria estetica 

Ti voglio abbracciare coccolare sei mio mio mio 

 Cute può significare e andare a descrivere moltissime cose, ma cosa significa effettivamente cute? Qual è la sua storia? Quanti prodotti culturali, oggetti sono cutificati, resi cute? Sono solo oggetti, animali e personaggi di cartoni che nascono e si sviluppano in modo cute? O la cutificazione si estende anche in altri ambiti? 

Questo articolo vuole definire la parola cute nel suo uso popolarizzato, e mappare gli ambiti più rilevanti nei quali la cutificazione si è estesa, basandosi principalmente su testi come: THE CUTE, una collezione di articoli pubblicata nel 2022 che esplorano il tema “Cute” in quanto concetto chiave nell’arte contemporanea. La raccolta è curata da Sianne Ngai, esperta di cultural theory, critica letteraria e ricercatrice femminista. Un altro articolo fondamentale in questa ricerca è il capitolo “The labor of cute: Net idols in the digital economy” parte del libro “Invisibility by Design: Women and Labor in Japan's Digital Economy” pubblicato nel 2020 e scritto da Gabriella Lukács, professoressa di antropologia dei media, specializzata in media, genere e lavoro. 

Non si può ricercare o definire cos’è “cute” senza incappare in un concetto confinante e spesso sovrapponibile: “kawaii”. In questo paragrafo cercherò di definire ciò che è cute contrapponendolo alla definizione di kawaii. Kawaii (可愛い) è un termine giapponese che si riferisce ad una distinta cultura visiva, affermatasi nel secondo dopoguerra e sviluppatasi attraverso manga, anime, moda, fino a oggetti di uso comune (Jones & Lancaster 2021) come barricate stradali a forma di coniglietti rosa, figure di cartoni animati dipinte sugli autobus (Elisabeth TNT, 2013). L’estetica kawaii è stata esportata e commercializzata in occidente per esempio attraverso pupazzi, cartoni animati, zaini per la scuola, e moltissimi tipi di oggetti a tema Hello Kitty o Sailor Moon (Jones & Lancaster 2021). 

La cultura kawaii è riconoscibile in quanto associabile a “infanzia, femminilità e caratterizzati da ritratti di vulnerabilità emotiva, fornendo un veicolo culturale per abbracciare le nostre emozioni e plasmare il mondo in modo da riflettere questi ideali” (Jones & Lancaster 2021: 49). Nello specifico è caratterizzata da forme piccole, delicate, infantili (Burdelski & Mitsuhashi 2010) morbide, tondeggianti (Koga Reiko 2009). Secondo Koga Reiko (2009) in Luckas (2020) “kawaii è una parola magica perchè può  indicare quasi qualsiasi cosa che sia tonda, debole, luminosa, piccola, liscia, calda o morbida. Per esempio, le fragole sono più kawaii delle mele” (66).

Capire Kawaii per capire cute

Ciò che è cute quindi permette di creare una fantasia dove il soggetto apprezza ciò che è cute, ma solo finché questo rimane dominabile, una fantasia che crea un'apparenza di controllo su merci domestiche, quando invece sono esse che ci controllano (Ngai 2022), attirano, ci portano a consumarle e comprarle, per vendicarsi su di noi cutificandoci: “cute serve a spostare, o neutralizzare, o riconcettualizzare in una direzione positiva/non minacciosa; questo è possibile solo fino a un certo punto, a quel punto il pendolo torna a oscillare nella direzione opposta. Essendo un dispositivo di mascheramento e parvenza, cute è intrinsecamente circolare” (Richard 2001 in Ngai: 46).

Gabriella Lukacs nel libro “Invisibility by Design: Women and Labor in Japan's Digital Economy” (2020) analizza il fenomeno delle Net Idols ovvero una sottocultura tra le prime blogger giapponesi negli anni novanta, e di come performare e rendersi cute fosse diventato una forma di lavoro. 

Cute, essendo una categoria flessibile, capace di incorporare al suo interno diverse forme comunque riconducibili e coerenti tra di loro, rende possibile la creazione di moltissimi stili personali e sottocategorie (Lukacs 2020). Nell’economia digitale, il mantenere e perfezionare il proprio stile cute come analizzato nel contesto delle Net Idols, necessitava di ore e ore di lavoro, sia pratico nella scelta di oggetti, outfit etc, che emotivo. Perfomare cute a livello fisico o corporeo significa mettersi in una posizione di (apparente) inferiorità, piegare braccia o la testa, sorridere in modo dolce, approcciabile, non minaccioso, performare una femminilità che può essere considerata oggettificazione (Lukacs 2022).  

Cute personificato, cute come lavoro

Un comportamento cute infatti richiedeva “indurre sensazioni di benessere, comfort e piacere essendo attenti ai bisogni emotivi dei fan” (Lukacs 2020, 65). Il lavoro è costante, in quanto all’interno di una piattaforma digitale è necessario ripeterlo continuamente con i propri followers, che senza questa attenzione si allontanerebbero alla ricerca di questa cura altrove, normalizzando quindi un nuovo modo di manifestare lavoro affettivo (ovvero che mira a fare sentire speciali e migliorare gli stati d’animo altrui) gratuito (Lukacs 2020).

Il motivo per cui molte donne decidevano comunque di continuare questo lavoro affettivo era il fatto che performare cute online era un modo per alienarsi dalla realtà “immergendosi un mondo pre-sociale o infantile, ci si vuole dimenticare dei doveri e delle responsabilità morali che vengono richieste a giovani donne” (Kinsella 1995 in Lukacs, 251).

Joshua Paul Dale, nella sua raccolta “The aesthetics and affects of cuteness” (2017), analizza la correlazione tra la ascesa dell’estetica cute, i suoi affetti (le risposte che cute suscita), ed il momento storico ed economico in cui essa avviene. Dale (2017) osserva come una delle possibile spiegazioni della popolarizzazione contemporanea di questa estetica in un momento storico di grande precarietà ed instabilità economica è anche attribuibile all'accresciuto senso di isolamento e solitudine generato da cambiamenti stridenti nella vita quotidiana, che molti studiosi riprendono nelle analisi della cultura contemporanea.  (Joshua Paul Dale et al. 2017: 7). Per procedere nell’analisi della relazione tra cute, affetti, e il tempo storico nel quale sono situati prendo in considerazione la definizione di ottimismo crudele di Laura Berlant (2011). Berlant teorizza l’ottimismo crudele come una condizione nel quale una persona è bloccata: da una parte ha dei desideri, dei sogni, che spesso sono però irrealizzabili, e dall’altra l’attaccamento a questi sogni, queste promesse mancate, che le impediscono di realizzare anche i sogni o progetti più realisticamente possibili (2011).  Una situazione socio economica precaria e di instabilità è terreno fertile per la crescita di ottimismo crudele: c’è infatti un’estinzione delle possibilità promesse da  media, social media, e istituzioni, ma i sogni delle persone sono ancora ancorati a quelle promesse (Chambers 2020). 

Le persone quindi si trovano a dover crearsi dei nuovi strumenti per riuscire a sopravvivere  tra le promesse non mantenute e la nuova realtà del presente che si trovano a vivere (Berlant 2011). Secondo Dale (2017) “indulgere e comunicare attraverso il cute fornisce un'importante strategia di sopravvivenza per i soggetti coinvolti nella precarietà del capitalismo neoliberale” (Dale et al. 2017: 1). Utilizzare il cute per comunicare, incarnarlo, consumare prodotti e prodotti culturali e nei social media di materie cute, diventa quindi un modo per sopravvivere, per trovare sollievo al veloce, esigente, spietato mondo contemporaneo, che però ha anch’esso un risvolto paradossale. Nel rifugiarsi nel consumo e performance di cuteness online, spesso ci si ritrova a ripetere gli stessi paradigmi del sistema neoliberale al quale si cerca di sfuggire. Consumare e produrre contenuti online implica l’uso delle “ stesse tecnologie che usiamo per lavoro, producendo al contempo dati estraibili da sfruttare in molti modi, spesso indesiderati. Altrettanto ironico è il risultato di una recente ricerca che suggerisce che la visione di contenuti cute al lavoro, invece di essere una distrazione, può effettivamente rendere più produttivi i lavoratori.” (Dale et al. 2017:8). 

L’affetto del consumo e della performance di cute è quindi un anti-dolorifico, allevia per un breve periodo le personali insoddisfazioni e le preoccupazioni, ma allo stesso tempo riproduce e rafforza norme sociali oppressive (Berlant 1997, in Hemmings 2005: 551). Per connettere questo tipo di affetto con il lavoro affettivo, di cui si è discusso nel paragrafo precedente, è interessante considerare l’argomento di Michael Hardt (1999) che sostiene che il lavoro affettivo sia il centro nascosto del potere cumulativo capitalista: è gratuito, produce valore (dati, contenuti, visualizzazioni etc), ma la sua forza è che crea connessioni emotive che a volte sfidano questo stesso potere cumulativo.

 

Questo articolo è un breve viaggio nell’universo della ricerca sul tema del cute, che è qui definito attraverso la definizione di kawaii, in quanto il suo uso all’interno della cultura digitale sia intrecciato all’uso di kawaii. Cute come categoria estetica è quindi riconoscibile da forme tondeggianti, dondolanti, infantilizzate e “carine” la quale particolarità è di essere attive. Infatti gli oggetti cute producono affetti, ovvero hanno un’effetto sulla persona che li osserva e li identifica come cute, che può ricevere una sensazione corporale che spinge la persona ad esprimere la cuteness dell’oggetto, in modo cute

Cute può anche essere visto come una performance, in quanto per essere vist3 come cute è necessario internalizzare e performare una serie di gesti, toni di voce e comportamenti, sia per infantilizzarsi, rendersi visivamente cute, che per cercare di fare sentire le persone (o followers) con cui ci si interfaccia ascoltata, prese in considerazione, e provocare sentimenti di felicità e benessere.  Assumere cute a livello indentitario e consumare contenuti cute rispondono alla solitudine, incertezza, insoddisfazione e ansia derivate dal vivere in un sistema precario neoliberale. Cute è visto come un modo per assuefarsi e allontanarsi per un momento dalla propria quotidianità. 

Ci sono molti altri aspetti e sotto-categorie estetiche che sarebbe interessante approfondire, e non esistono molti studi che si occupano di studiarle dal punto di vista degli affetti che producono. Per approfondire esempi di estetica cute nella cultura digitale contemporanea visita il detective wall di Noura Tafeche: https://miro.com/app/board/o9J_lHPZTsI=/. Per una mappa delle sottoculture di Kawaii edita da Noura Tafeche vedi invece: https://miro.com/app/board/uXjVOPAUN1U=/.

Berlant, Lauren. *Cruel Optimism*. Duke University Press, 2011. JSTOR, https://doi.org/10.2307/j.ctv1220p4w. Accessed 31 July 2024.

Burdelski, M., and K. Mitsuhashi. “‘She Thinks You’re Kawaii’: Socializing Affect, Gender, and Relationships in a Japanese Preschool.” *Language in Society*, vol. 39, no. 1, Feb. 2010, pp. 65–93.

Chambers. *After the Happy Ever After*. 2020. Unpublished manuscript.

Dale, Joshua Paul, editor. *The Aesthetics and Affects of Cuteness*. Routledge, 2017.

Hemmings, Clare. “Invoking Affect: Cultural Theory and the Ontological Turn.” *Cultural Studies*, vol. 19, 2005, pp. 548-567.

Jones, Skye, and Lex Lancaster. “Kawaii Revolution: Understanding the Japanese Aesthetics of ‘Cuteness’ through Lolita and Madoka Magica.” *University of South Carolina Upstate Student Research Journal*, vol. 14, 2021, article 7. Available at: https://scholarcommons.sc.edu/uscusrj/vol14/iss1/7.

Koga, Reiko. *Kawaii no Teikoku: Mōdo to Media to Onnanokotachi*. Seidosha, 2009.

Morreall, John. "Cuteness//1991." In Sianne Ngai, *The Cute*. Whitechapel: Documents of Contemporary Art, MIT Press, 2022, ISBN 0262372258, 9780262372251.

Ngai, Sianne. *The Cute*. Whitechapel: Documents of Contemporary Art, MIT Press, 2022, ISBN 0262372258, 9780262372251.

"TNT." *Vogue*, 1 Nov. 2013, https://archive.vogue.com/article/2013/11/1/tnt.

AWWWW interiore davanti a uno schermo, perchè ci fa sentire meglio? 

Conclusione

Bibliografia

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